Psicologa | Giornalista | Docente Università | Scrittrice

La newsletter che parla di parole, pensieri e cervelli narrativi

di Marta Pettolino Valfrè

La Sacra Famiglia

Famiglia tradizionale

La famiglia è sacra

«Nella nostra cultura la famiglia è sacra,

strangoleremo chiunque osi toccarla».

Chi l’ha detto? Non è un quiz, ma se ti è venuto in mente qualcuno del nostro Governo, sai che è perlomeno possibile sia successo in Italia. E invece no, sono le prime parole di Erdogan alle rielezioni. Preoccupante, vero, aver pensato che quelle parole potessero essere riferite ad un Paese democratico come il nostro, invece che a un dittatore.

Ma dove sta la preoccupazione? Cosa dice in fondo di così sbagliato? Letteralmente nulla, almeno nella prima parte. Un Paese si deve basare sulla famiglia, che al di là delle questioni sociali, morali e affettive, rappresenta il primo soggetto su cui si regge l’economia di uno Stato. 

E allora cosa vuol dire “toccare la famiglia”?

E chi è che viene strangolato? Fin troppo facile interpretare questo messaggio non in modo letterale e capire che il riferimento di togliere il respiro (metaforico o fisico?) va alle famiglie non tradizionali. 

Chi di voi mi segue da tempo sa già che le parole hanno un peso e sono in grado di creare il nostro mondo, le nostre emozioni, i nostri pensieri e infine sollecitano il nostro comportamento. E il verbo “strangoleremo” ha un peso molto forte. Prima di tutto è un verbo, quindi richiama un’azione.

Pensate ora per immagini, che tipo di rappresentazioni avete nella vostra mente quando sentite questa parola?Un piccolo trucco sta nel mettere questa parola su Google e fare la ricerca per immagini (fatela da navigazione in incognito così la serp non sarà influenzata dalle vostre ricerche precedenti), cosa vi viene fuori ?

I risultati della ricerca potrebbero restituire immagini molto simili a quelle che vengono in mente alla maggior parte delle persone.

Anche senza farci aiutare dal motore di ricerca, sappiamo che quel verbo e quelle immagini ci riportano ad uno stato di agitazione e richiamano la paura, il soffocamento e il sapere che c’è un’altra persona che può indurre a una morte atroce. Ma le parole sono solo parole. Sappiamo già che non è così. La parole e le immagini innescano circuiti neurali simili alle azioni e ai comportamenti messi in atto, per cui quella parola suscita paura vera. Non è stata una frase di vittoria, ma una minaccia di morte.

Come funziona la nostra mente?

Nel mio libro di prossima uscita, edito da Franco Angeli, spiego, fra le altre cose, come sono organizzati i nostri pensieri all’interno della nostra mente: “Il linguaggio è considerato una facoltà cognitiva necessaria per immagazzinare e interpretare le esperienze, attraverso un insieme di categorie. I concetti strutturano tutto ciò che noi percepiamo e quindi definiscono le nostre realtà, cioè la rappresentazione che noi abbiamo degli altri, del mondo e anche di noi stessi. La maggior parte del tempo la passiamo senza essere consapevoli della rete concettuale che sta alla base delle nostre azioni“. Cioè, pensiamo in automatico, diamo per scontato che abbiamo già immagazzinato e organizzato i concetti e non ci facciamo più domande. Questo è sicuramente funzionale e comodo nella vita quotidiana.

I concetti che abbiamo al nostro interno non sono divisi per categorie rigide e stabili, altrimenti non impareremmo mai nulla di nuovo e non potremmo neppure formare nuove parole come per esempio: apericena, che non è aperitivo, ma neppure cena.

La teoria del prototipo è molto importante sia in linguistica sia per la psicologia cognitiva perché prende in considerazione la centralità semantica di un membro della categoria, ma anche i suoi margini. Per esempio, alla parola gatto ci saranno più persone che penseranno in modo immediato a un persiano rispetto a quelle che penseranno a un gatto sfinge. Quindi il persiano sarà centrale nel prototipo del concetto “gatto”, ma non sarà l’unico possibile.

Cristoforetti

E la tua mente cosa mette ai margini?

Quali sono le caratteristiche della parola famiglia per far si che alcune persone si possano considerare tali?

Fai tu un elenco delle caratteristiche che devono esserci in una famiglia, senza le quali non si parlerebbe più di famiglia, ma di un altro concetto.

Le caratteristiche che hai individuato rappresenteranno il nucleo centrale del tuo modello di famiglia, ma solo quello. Oltre alla centralità abbiamo posizioni marginali, perché meno diffuse, ma pur sempre facenti parte di quel concetto.

Le posizioni all’interno del prototipo sono fluide e culturali.

Ti faccio un altro esempio. Prima di Cristoforetti il prototipo di astronauta era maschio, le donne non erano prese in considerazione e se lo erano (solo perché ipoteticamente potevano esserlo anche loro) erano ai margini. Lei ha cambiato l’idea che il mondo ha dell’essere astronauta e ha portato le donne in posizione centrale rispetto al prototipo astronauta. 

Torniamo alla famiglia

È verissimo che fino a poco tempo fa in posizione centrale si aveva la famiglia del Mulino Bianco, ma era reale? I miei genitori, per esempio, arrivano entrambi da famiglie molto numerose e non su un modello a base 4, ovvero: mamma, papà, figlia femmina e figlio maschio. Se guardiamo le statistiche solo una bassa percentuale rientra in questo modello. Per cui si può considerare centrale solo a livello di immaginario, ma non nella realtà.

E dove sta l’inganno? Il 4 è il numero che rappresenta l’ordine e la stabilità. Ma può rappresentare anche la stabilità nel senso di stare fermi e non evolvere. Cosa ti richiama alla mente il costrutto: ordine e disciplina? Messaggi subliminali? Non lo so, ma quello che so è che i modelli portati avanti dai media, dalle pubblicità e dalla politica influenzano in modo inconscio i nostri pensieri, i nostri desideri e anche quello che pensiamo sia giusto o sbagliato.

Prendiamo in considerazione alcune famiglie non tradizionali. Ci sarebbe anche da chiedersi qual è la data di inizio della tradizione, perché la consuetudine delle mie nipoti, per esempio, è fatta da amiche, amici, compagn* e conoscenti con genitori separati o non sposati. Per loro è centrale avere due genitori, ma non per forza che vivano nella stessa casa. Ritorniamo alle famiglie che vogliono farci credere ai margini, come quelle divorziate, le famiglie allargate (e la definizione allargata presuppone un paragone con qualcosa di più piccolo, di più stretto, ma che determina la norma in base alla quale si giudica tutto il resto), le ragazze madri (che sono sempre esistite e dove la parola “ragazza” non si riferisce all’età, ma al fatto di non essere sposata, anche qui la norma in base alla quale si paragona tutto il resto è di donna-madre-sposata), le famiglie non contrattualizzate (sposate), le coppie di fatto, le famiglie i cui componenti hanno lo stesso sesso. In tutti questi casi crolla il numero 4, il numero che mantiene l’ordine che tiene sotto controllo. Insomma, un prototipo il cui centro è molto diversificato. E lo è già nella vita reale, non è qualcosa che si può negare o vietare. Un concetto, quello di famiglia, ai cui margini potremmo trovare invece, più rare nei nostri costrutti mentali, la famiglia poligamica (un uomo è sposato con più donne), quella poliandrica (una donna è sposata con più uomini) e i matrimoni di gruppo (più uomini si sposato con più donne, senza formare coppie).

E allora perché si fa ancora finta di ragionare per caste? Ops, per categorie?

La nostra mente non funziona così, noi siamo abili ad adattarci alle situazioni e l’evoluzione umana ce ne ha dato più volte dimostrazione. Dire che c’è un unico modello di famiglia è un atto politico e di propaganda fondata sull’idea sbagliata di deformazione sociale: che fine faremo se non si tutela la famiglia?

Sì, bisogna tutelare la famiglia, ma tutte le famiglie, non solo alcune.

Giorgia Meloni

Mamma Giorgia

La famiglia è talmente centrale che anche quando si parla della Presidente del Consiglio viene (ad Arisa per lo meno) da paragonarla ad una madre. Severa, però. Non è mia intenzione difendere l’operato dalle Premier dal quale prendo le più ampie distanze, ma mi domando perché una donna deve essere sempre una madre.

Perché, anche quando si ricopre una delle più alte cariche dello Stato, non si viene prese in considerazione come ruolo sociale, ma solo in quello accudente (anche di un Paese).

E Arisa nelle sue parole svela due concetti stereotipati della nostra società: il primo è che una donna sarà sempre o madre o non-madre, questo è il metro di giudizio. E il secondo che è madre ma severa, a sottolineare che le donne dovrebbero essere gentili e accudenti, altrimenti va specificato.

Non vorrei Meloni né come Presidente, né come Madre, ma sono disposta a difendere il suo essere donna. Anche se lei non difende l’autodeterminazione delle altre donne.

Un giro di lingua

C’è un bellissimo scritto, pubblicato dall’Accademia della Crusca, che ci riporta alla complessità del termine famiglia in letteratura. Dante, Boccaccio, Petrarca cosa hanno inteso con il termine famiglia?
Così sapremo rispondere a chi, ancora oggi, ci dice che non rispettiamo le tradizioni e che di famiglia ce n’è una sola.

Qui la parte introduttiva che ho amato di più:
“Ogni famiglia è infatti un centro di affetti, di interessi, di problemi comuni, vissuti superati e sofferti insieme. È proprio nella famiglia che si ha l’incontro vero delle persone, dell’amore. È nella trepidazione comune che cresce l’affetto e la solidarietà dei membri della stessa famiglia, in quella consuetudine di vita, di lavoro e di speranze che fa distinguere i parenti da un solo sguardo, a un piccolo cenno di sorriso”.

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Ho scritto un libro

IL CORPO EMOTIVO NEL PUBLIC SPEAKING

Manuale pratico tra mente, cuore e storytelling

Il public speaking per me è molto di più del parlare in pubblico, perché ci fa fare i conti con noi, con le nostre paure, ma anche con i nostri sogni e le nostre speranze. È un guardarsi dentro prima che fuori, è un parlare con noi stess* prima che con le altre persone. È anche guardare in faccia cose che non ci piacciono, ed è anche imparare a conoscersi meglio e a dirsi: sono stata brava!

Dentro questo libro troverai una parte dedicata alle emozioni e a come tenerle per mano senza farti governare. C’è anche uno Speciale Ansia! Una parte è dedicata al linguaggio e a come si formano i pensieri nella nostra mente. Un’altra, a grande richiesta, è sulla comunicazione non verbale e in ultimo ci sono le mie tecniche preferite di storytelling. E tanti e tanti esercizi.

 

“È un libro che mette ordine tra falsi miti e prove scientifiche, adatto per organizzare discorsi sia preparati, sia improvvisati. Per chi vuole essere leader e muovere opinioni, per chi ha un sogno e vuole raggiungerlo, per chi vuole parlare con mille altre persone o una sola”.

Ne ho scritto un altro:

CHE PALLE ‘STI STEREOTIPI

25 modi di dire che ci hanno incasinato la vita

Le parole che usiamo non servono solo a descrivere la realtà ma influenzano inconsapevolmente anche i nostri pensieri e determinano quindi i nostri comportamenti. Occuparsi delle parole vuol dire soprattutto prendersi cura di sé e della propria mente. E non esistono cose più urgenti di dedicarci a noi e al rapporto con le altre persone. Questo viaggio ironico e al contempo molto serio ci porta, attraverso venticinque modi di dire che spesso usiamo inconsapevolmente, all’interno å una società ancora troppo maschilista, nella quale le donne troppo spesso mettono in atto comportamenti auto-sabotanti. Sono parole “di seconda mano”, che utilizziamo senza compiere una vera e consapevole scelta, sono parole non nostre ma che, nel momento in cui le pronunciamo, dicono tanto anche di noi, di chi siamo, di cosa (senza rifletterci) pensiamo e di come ci comportiamo. Grazie alle riflessioni di Nacci e Pettolino Valfrè, impariamo a riscrivere la nostra voce interiore, a disinnescare i nostri automatismi in modo che, quando staremo per esclamare a una donna: “Hai proprio le palle!”, ci verrà da ridere ripensando a cosa vuol dire, a quanto sia assurdo, e ci porterà a domandarci: “Sono veramente io che sto scegliendo questi termini?”, “Chi è la padrona o il padrone della mia mente?” e ancora: “Posso amare le parole che ho detto?”.

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