Psicologa | Giornalista | Docente Università | Scrittrice

La newsletter che parla di parole, pensieri e cervelli narrativi

di Marta Pettolino Valfrè

Quando la mente mente: chi vince tra ciò che vedi e ciò che pensi?

Illusioni mentali

C’è ancora domani e le illusioni della mente

Ne abbiano letto e sentito tanto e non voglio darvi l’ennesimo parere del perché questo film (C’è ancora domani di Cortellesi) è meraviglioso e indispensabile, soprattutto sotto questo regime governativo. Non a caso il Ministero della cultura ha ritenuto il «Progetto di opera non giudicata di straordinaria qualità artistica in relazione a temi culturali, a fatti storici, eventi, luoghi o personaggi che caratterizzano l’identità nazionale”» classificandolo all’ultimo posto fra i richiedenti di fondi pubblici. Già, non abbastanza rilevante per la nostra identità nazionale. L’indipendenza e l’autodeterminazione femminile ancora oggi non sono importanti per questo Paese e per questo Governo.

Ma avevo detto che non ne parlavo. Voglio invece raccontarvi cosa è successo nel cinema quando sono andata a vederlo e perché c’entra con le illusioni della nostra mente.

Quando gli occhi vedono, ma la mente no

ATTENZIONE: CONTIENE UNO SPOILER
(Se non hai visto il film di Cortellesi e non vuoi saper il finale, salta al paragrafo successivo. Consiglio: vai a vederlo).

Il film tesse per tutta la durata indizi che fanno leva su più bias e stereotipi della nostra mente e della nostra società. L’amore romantico è uno di questi. Cliché che viene suscitato da Nino, ex fidanzato di Delia, che deve andare via e lasciare il paese e che le chiede di seguirlo. Tutto ci fa presupporre essere ancora innamorato di lei, anche se ai tempi del fidanzamento era andato via, lasciandola. C’è qualcosa di più romantico di un uomo che va via, ma quando è in disgrazia si accorge di essere sempre stato innamorato di una donna che è stata sua per prima? Eppure abbiamo fatto il tifo per lui, per il grande amore che torna e che salva la povera donna dalla sua attuale vita disgraziata.

L’happy end è un’altra consuetudine. Siamo portatə a pensare è che i due uomini siano antagonisti e che la soluzione per Delia per sfuggire alle botte del marito sia una sola: scappare con un altro uomo, il salvatore. Uno che l’ha già lasciata e che sta nuovamente andando via, ma che le ha chiesto di seguirlo e rinunciare alla sua vita, fatta anche di amicizie e figli. E alla fine vogliamo che quel giorno della fuitina arrivi presto. Lo consideriamo un happy end, perché facciamo il tifo per lui, non per quello che mena, ma per quello che ha fatto ghosting (pensavate fosse una tecnica moderna, neh?).

E in ultimo, mio preferito perché svela in modo chiaro gli stereotipi che si annidano anche nelle menti più libere, è quello che una donna sa che può essere salvata solo da un uomo ed è pronta a rinunciare a tutto per il suo salvatore. In quell’atto finale la maggioranza di noi ha pensato che Delia stesse per raggiungere Nino e lasciare per sempre marito, lavori, figlio e figlia e amiche. Perché nulla è importante per una donna quanto lo è un uomo.

E invece Delia fa qualcosa di potente: salva tutte le altre donne, andando a votare per la prima volta. Cortellesi ci ha stupito, ci ha fatto piangere, ci ha reso orgogliose delle nostre sorelle. A noi, ma non abbastanza al Ministero.

Ma cosa è successo durante l’ultimo atto del film?
Amo i cinema piccoli e di periferia molto più che le multisale. Il mio preferito in assoluto è quello del paese dove vivo, un cinema che è anche un teatro, le poltrone sono in velluto ed entrando si respira l’odore di polvere capace di trasportare nell’illusione di essere ancora negli anni ’70.

Delia prende dal cassetto quella lettera, arrivata per posta e tenuta nascosta fino ad allora. Lascia i soldi alla figlia e va, via. Ci sono tutti gli elementi per pensare che non farà più ritorno, ma dove va? Cosa c’è in quella lettera?
Scena dopo: lei con tantissime altre persone, uomini e donne, che si affollano in coda per cosa non sappiamo. Un uomo urla a gran voce di preparare i documenti.

Signora alle mie spalle: “Dove sta andando?”
Sua amica: “Non lo so, prenderà una nave o un treno”
Signora alle mie spalle: “Va da lui (Nino), perché è partito il giorno prima e lei ha detto: c’è ancora domani”.
Sua amica: Sì.

Ed era esattamente quello che c’era nella testa di tantə, ma. C’erano tanti ma. Eppure la maggior parte delle persone in sala non ne teneva conto:

  • l’uomo che ha chiesto di preparare i documenti ha parlato da una scalinata e i treni e le navi non hanno scalinate come quella, e poi urla i documenti e non nomina i biglietti.
  • Perché c’è solo domani per raggiungere Nino e non altri giorni? Lui è già partito.
  • Perché tutta quella folla per prendere un treno o una nave in un giorno qualsiasi?
  • Non si è mai visto il contenuto della busta arrivata per posta, lei l’ha persa, come facevano sia il marito sia la figlia a sapere dove trovarla e a raggiungerla così velocemente?

Tutto quello che veniva proiettato sullo schermo smentiva la fuitina romantica degli ex amanti, eppure quasi tuttə vedevano che Delia avrebbe raggiunto Nino e avrebbero vissuto quell’amore per sempre.

Perché non crediamo a ciò che vediamo

Ebbene sì, noi non vediamo solo con gli occhi, ma anche con il cervello.
In psicologia si dice che la visione è un processo attivo e conoscitivo, che vuol dire che vedere non è, come spesso si pensa, una fotografia di una realtà oggettiva, vedere è il risultato della trasformazione del mondo esterno nel mondo percettivo, che implica lʼattivazione di specifiche cellule visive ma che coinvolge, in maniera importante, anche la nostra conoscenza del mondo, il nostro stato dʼanimo, la nostra cultura.

Quando vedi una persone che non appartiene apparentemente alla tua cultura, chiediti: “Cosa penso quando la guardo?”. Quando incontri una persona di etnia diversa, chieditelo. Quando incontri una donna che non è una femmina culturalmente approvata, chieditelo. Quando vedi un uomo che non è un maschio culturalmente approvato, chieditelo.

La visione è influenzata da meccanismi neurofisiologici che orientano la percezione, alcuni di natura fisiologica, altri attinenti la sfera psicologica, come interessi, bisogni personali ed esperienze precedenti che manipolano le aspettative e la fiducia. Altre influenze sono portate dalla personalità e dallo stato emotivo della persona in quel momento, oltre che dal contesto o dalla situazione.
Percepiamo attraverso gli occhi solo ciò che lascia passare il filtro interno costituito dalle nostre idee e dai condizionamenti dell’ambiente.

C’è poi da tenere conto anche dell’attenzione selettiva che è fortemente influenzata dalle emozioni e dalle aspettative.
L’emozione può modificare la realtà.

Il potere della contaminazione

Se il contesto, la cultura in cui siamo intrisi, la società hanno un potere così forte sulla nostra mente e su ciò che pensiamo, tanto da non farci neppure vedere tutto ciò che smentisce quello che crediamo sia vero, allora possiamo renderci conto di quanto possiamo essere manipolatə a pensare in un determinato modo indotto. Ma come possiamo difenderci?

Cercando sempre qualcosa che dica il contrario di ciò che pensiamo, possiamo ascoltare senza giudizio storie che raccontano cose che non sappiamo, possiamo non uniformarci alla maggioranza per paura del rifiuto, in poche parole: contaminiamoci di culture diverse dalla nostra.

Un giro di lingua

C’è un concetto che per me è molto importante ed è la differenza fra dire Sì e dire No.

Nei miei corsi riferisco spesso che ogni volta che diciamo Sì a qualcosa o a qualcuno stiamo dicendo No ad altro e di fare attenzione a non dire No proprio a noi stessə e ai nostri desideri.

C’è anche un’altra accezione che ha a che fare con questi due avverbi, ed è la differenza tra le frasi:

NO vuol dire No e

SOLO Sì VUOL DIRE Sì

Ho letto con rabbia, tanta frustrazione e dolore dell’interrogatorio in aula della ragazza stuprata nel processo a Grillo, Corsiglia, Lauria e Capitta. Domande incentrate, come sempre accade quando una vittima è donna, sullo scambio dei ruoli tra vittima e colpevole.

La differenza fra queste due frasi è a mio avviso fondamentale.

 

IO VOGLIO INDURRE CIÒ CHE VOGLIO

E NON PROTEGGERMI DA CIÒ CHE NON VOGLIO.

 

Questo cambio di paradigma è essenziale. Si tratta di agentività e del potere che ognunə di noi ha di agire intenzionalmente e nell’essere fautrice o fautore del proprio futuro. Si tratta, cioè, di far accadere ciò che vogliamo. E non di evitare ciò che non vogliamo, perché se l’unica possibilità di scelta che abbiamo è la difesa questo vuol anche dire che noi saremo limitate a difenderci o ad acconsentire a quello che qualcun altro ha deciso per noi.

La differenza sta anche nel non accettare più la mal interpretazione di un comportamento o di un abbigliamento.
NON HO DETTO Sì.

E smetterla col il falso mito che una donna quando dice no vuol dire sì. Sappiamo benissimo il significato delle parole.
NON HO DETTO Sì.

Non voglio che siano fatte a me o a altre donne domande del tipo: perché non hai fatto…? Perché non hai urlato? Perché non sei scappata? Perché non hai usato i denti?
NON HO DETTO Sì.

Perché i meccanismi di reazione fisica e psichica della paura possono non conoscere la parte logica e razionale della nostra mente. E pretendere che la nostra mente funzioni nello stesso modo quando siamo in pericolo di morte o di stupro (che è una morte nell’anima, oltre che un mutilamento fisico) e quando siamo sedutə sul divano, non è solo profondamente sbagliato, ma è anche inammissibilmente ignorante.

 

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Ho scritto un libro

IL CORPO EMOTIVO NEL PUBLIC SPEAKING

Manuale pratico tra mente, cuore e storytelling

Il public speaking per me è molto di più del parlare in pubblico, perché ci fa fare i conti con noi, con le nostre paure, ma anche con i nostri sogni e le nostre speranze. È un guardarsi dentro prima che fuori, è un parlare con noi stess* prima che con le altre persone. È anche guardare in faccia cose che non ci piacciono, ed è anche imparare a conoscersi meglio e a dirsi: sono stata brava!

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“È un libro che mette ordine tra falsi miti e prove scientifiche, adatto per organizzare discorsi sia preparati, sia improvvisati. Per chi vuole essere leader e muovere opinioni, per chi ha un sogno e vuole raggiungerlo, per chi vuole parlare con mille altre persone o una sola”.

Ne ho scritto un altro:

CHE PALLE ‘STI STEREOTIPI

25 modi di dire che ci hanno incasinato la vita

Le parole che usiamo non servono solo a descrivere la realtà ma influenzano inconsapevolmente anche i nostri pensieri e determinano quindi i nostri comportamenti. Occuparsi delle parole vuol dire soprattutto prendersi cura di sé e della propria mente. E non esistono cose più urgenti di dedicarci a noi e al rapporto con le altre persone. Questo viaggio ironico e al contempo molto serio ci porta, attraverso venticinque modi di dire che spesso usiamo inconsapevolmente, all’interno å una società ancora troppo maschilista, nella quale le donne troppo spesso mettono in atto comportamenti auto-sabotanti. Sono parole “di seconda mano”, che utilizziamo senza compiere una vera e consapevole scelta, sono parole non nostre ma che, nel momento in cui le pronunciamo, dicono tanto anche di noi, di chi siamo, di cosa (senza rifletterci) pensiamo e di come ci comportiamo. Grazie alle riflessioni di Nacci e Pettolino Valfrè, impariamo a riscrivere la nostra voce interiore, a disinnescare i nostri automatismi in modo che, quando staremo per esclamare a una donna: “Hai proprio le palle!”, ci verrà da ridere ripensando a cosa vuol dire, a quanto sia assurdo, e ci porterà a domandarci: “Sono veramente io che sto scegliendo questi termini?”, “Chi è la padrona o il padrone della mia mente?” e ancora: “Posso amare le parole che ho detto?”.

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