L’ho raccontato più volte e altrettante lo racconterò, perché è una cosa a cui la maggior parte delle persone non fa caso, ma che invece porta con sé quel perbenismo inconsapevole che fa male alla nostra mente e ai nostri rapporti sociali.
Quando dirigevo alcune testate giornalistiche le mail a me indirizzate si aprivano così: Gent.ma Dott.ssa. Ci vedete qualcosa di male? Qualche significato implicito? Forse sì, forse no. Ora però chiedetevi: se io fossi stata un uomo o se voi doveste scrivere una e-mail a un direttore di un giornale maschio, come iniziereste la lettera?
Quasi sicuramente: Egregio Direttore.
Perché cambiamo formula quando cambia il genere del destinatario? Stesso ruolo, ma genere diverso.
Analizziamo cosa si nasconde sotto queste formule.
La prima differenza è fra Gentilissima e Egregio, la prima fa riferimento a un’area personale ed emotiva, la seconda a un ruolo sociale e di prestigio. Quindi a parità di ruolo alla donna va ricordato il suo ambito, quello di cura e di anima gentile, quello che ci si aspetta da una donna e quello che dovrebbe essere. Nessun riferimento al suo lavoro, ai suoi meriti e al prestigio. Non sono cose da donne. Infatti, egregio fa riferimento alla stima che una persona prova per i successi raggiunti in ambito pubblico, degno di valore e fuori dal comune. Cose da maschi.
Il secondo termine Dottoressa e Direttore. Anche qui il divario è ampio. Il primo termine fa riferimento agli studi effettuati, ma ancora una volta nessun riferimento al ruolo in una società, il secondo, invece, indica il livello che si è raggiunto nella carriera. Ma si sa, anche queste sono cose da uomini.
Per quanto noi donne possiamo raggiungere traguardi per noi importanti, queste due locuzioni ci ricordano per cosa siamo portate noi e per cosa sono portati gli uomini.
E attenzione perché avere questi stereotipi nella testa vuol dire pagare un prezzo altissimo, per tutte e tutti, anche per gli uomini, che hanno imperativi di successo, la cui definizione non è personale ma legata soprattutto allo status economico.
Un Gentilissimə non si nega a nessunə
Da un po’ di tempo però è entrata in usanza una formula di apertura delle email “inclusiva”, cioè: siamo tutti gentilissimi, indipendentemente dal genere.
E questo è davvero divertente: invece di usare delle formule di saluto come buongiorno, buonasera, come si farebbe in una conversazione normale, o appellare le donne con una qualificazione inerente al ruolo, abbiamo deciso di banalizzare e far ricadere tutte e tutti a una caratteristica personale di cui il mittente spesso non sa nulla.
Quella parola così si svuota del suo significato profondo e meraviglioso. La gentilezza, e lo sa bene chi ha fatto i miei corsi su questo tema, ha un potere salvifico su tantissimi aspetti della nostra vita. Ma così non lo ha più perché è banalizzato o reso manipolativo.
In più è fuori luogo, perché non possiamo sapere se quella persona è gentile oppure no.
A me sono arrivate anche email piccate e arroganti che aprivano con Gentilissima. Un po’ fa ridere e un po’ no.
Sappiamo già che le parole contano e che creano immagini e stati d’animo e che le prime che usiamo danno un effetto priming (concetto caro alla psicologia cognitiva che indica, semplificando, che quello che dico prima influenzerà quello che dirò dopo).
Che effetto vi fa una persona che vi dice come siete senza conoscervi? Io non mi fido e quindi la mail che seguirà la leggerò in modo guardingo e diffidente.
Differenza tra educazione e perbenismo
Allora perché si continua ad usare questa formula?
Perché dobbiamo dimostrare di essere educati e gentili. Ma una formula che si usa indistintamente in tutte le email quanto autentica può apparire?
Oltre che essere impersonale, ci dà l’impressione che sia stata scritta seguendo uno schema.
Come spesso dico: facciamo prima noi quello che vogliamo che le altre persone facciano nei nostri confronti. Se non dedichiamo tempo a quella email o a quella persona perché dovrebbe lei dedicarlo a noi?
La differenza fra perbenismo ed educazione è abissale, da una parte c’è l’etichetta stereotipata e dicotomica di cosa è giusto fare e cosa no, dove noi non esistiamo più, scompariamo per lasciare posto a regole imposte, e dall’altra ci siamo noi con il nostro personale linguaggio, comportamento e modello del mondo.
Un sondaggio del Times ha messo in evidenza che una persona su quattro, tra i 18 e i 34 anni, non risponde mai al cellulare, perché la maggior parte (quasi il 70%) va in ansia al solo pensiero di rispondere. La conversazione naturale è stata sostituita con i messaggi vocali a senso unico o con i messaggi scritti.
Cosa ci fa capire questo?
Che stiamo perdendo l’attitudine al dialogo e alle relazioni estermporanee. Abbiamo sempre più bisogno di una protezione dall’esposizione emotiva.
Sempre di più si affaccia la necessità di introdurre fin dalle prime scuole elementari alcune materie fondamentali come l’educazione emotiva, all’affettività e alla sessualità.
Riappropriamoci il diritti di essere noi stessə e di essere autenticə.