Ti è mai capitato di sentirti in confusione e di dubitare di quello che pensi e dei tuoi ricordi dopo aver parlato con una persona? Oppure di pensare al passato e ricordare che eri una persona più sicura e che quella sicurezza oggi non la senti più? Se hai risposto ‘sì’, potresti essere vittima di gaslighting.
Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica subdola e molto pericolosa: chi lo esercita mina, con intenzionalità, la percezione della realtà della vittima, facendola dubitare di sé, delle sue emozioni e persino dei suoi ricordi. È come essere intrappolati in un gioco mentale che non hai scelto di giocare.
La buona notizia? Puoi difenderti. In questo articolo scoprirai come riconoscere i segnali del gaslighting e quali strategie adottare per proteggerti da chi cerca di riscrivere la tua realtà. Perché nessuno ha il diritto di manipolare la tua mente.
Il termine Gaslighting deriva da un testo teatrale divenuto poi un film diretto da Thorold Dickinsonnel: Gaslight. Nella trama un uomo manipola sua moglie (Ingrid Bergman) così tanto da farle pensare di esser pazza.
Infatti, proprio come avviene nel film, lo scopo principale di chi mette in atto questa subdola macchinazione è quello di far dubitare la vittima delle proprie percezioni e della propria sanità mentale. Questo nella forma più grave, ma ci sono livelli intermedi, ancora più difficili da individuare, nei quali lo scopo non è quello di far impazzire l’altra persona, ma quello di avere più potere attraverso l’attacco continuo alla sicurezza dell’altra persona. Farla dubitare delle cose accadute, delle sue percezioni e dei suoi pensieri e spiazzarla facendola sentire insicura e anche impotente, spingendola a dubitare di qualsiasi cosa. Ci sono situazioni nelle quali l’altra persona non sa reagire perché il manipolatore o la manipolatrice ha più potere, come può succedere facilmente in ambito lavorativo con una persona che ricopre un ruolo superiore nella gerarchia aziendale. Ce ne sono altre nelle quali la persona che abusa viene vista come l’unica soluzione al proprio malessere, una sorta di salvatore o salvatrice, l’unica che copre gli errori della vittima, che sa cosa deve fare e che è dalla sua parte.
Queste situazioni sono diffuse sia nelle relazioni personali sia in quelle lavorative. É un fenomeno in aumento tanto che il Merriam-Webster Dictionary ha nominato “gaslighting” come la parola del 2022″ perché quest’anno ha visto un aumento del 1740% delle ricerche per gaslighting, con un interesse elevato durante tutto l’anno“.
Le persone in gioco sono almeno due:
Ed è in questa ricerca di approvazione e validazione, esigenza che può nascere sia per motivi personali e individuali, sia per gerarchia lavorativa, che inizia a manifestarsi il pericolo.
Le strategie del gaslighter portano la vittima a sperimentare uno stato di confusione, a dubitare di sé stessa e a isolarsi, spesso non dicendo a nessuno per vergogna o senso di colpa, cosa prova. Anche perché una parte di sé penserà che la persona abusante abbia ragione. Questa manipolazione si basa su strategie ingannevoli, come negare l’evidenza, colpevolizzare l’altra persona per le emozioni che vive o che mostra, fornire informazioni false per disorientarla. In molti casi, il gaslighter altera la realtà mettendo in discussione i ricordi e la memoria della vittima in modo così persuasivo da spingerla a dubitare persino della propria lucidità mentale.
Affinché si possa parlare di gaslighting deve esserci intenzionalità nella maniplazione e nella distorsione delle informazioni per affermare sé e denigrare l’altra persona, facendole sorgere il dubbio sulla propria autoefficacia (lo sai che non sei capace, lo sai che non ce la fai senza di me, chi vuoi che ti prenda al posto mio? Ecc. ), sulla sua memoria (non ti ricordi, me l’hai detto tu, l’hai fatto tu, ti sbagli io non c’ero, ecc.) o sulla sua percezione della realtà.
Noi sappiamo chi siamo perché abbiamo coscienza di due cose: il nostro passato e quindi la memoria che ci crea la nostra identità e la realtà esterna che con la crescita abbiamo imparato a interpretare. Minando la memoria e la percezione della realtà si compromette anche lo stato di coscienza e quindi, anche nei casi meno gravi, la vittima inizia a non sapere più chi è e magari proprio per quella insicurezza si fida di più dell’altra persona che di se stessa. Crolla così l’autostima ma anche il senso di agentività della vittima.
Robin Stern, Ph.D., direttrice dello Yale Center for Emotional Intelligence ed esperta in manipolazione mentale, intelligenza emotiva e empowerment femminile, ha teorizzato 3 fasi della gaslight manipulation:
La persona abusante, perché è di un abuso che stiamo parlando, ha come intento quello di neutralizzare le abilità dell’altra persona, solitamente muovendo forti critiche sul modo di essere della vittima, in modo di assicurasi il suo consenso e garantirsi il controllo su di lei. A differenza di un rapporto di forza e di superbia, nel quale il carnefice espone il proprio potere in maniera palese e diretto, in questo caso, invece, il gaslighter vuole creare alla vittima un senso di isolamento e un ambiente nel quale tutte le persone, compresa la vittima, pensano che la gaslightee stia sbagliando e sia incapace e che lui, invece, sia dotato di superiorità morale, intellettiva e operativa.
Come ha più volte scritto, anche nel mio libro sul public speaking, chi usa tecniche di manipolazione mentale o di violenza per dimostrare il proprio valore soffre di un’insicurezza profonda e un forte senso di impotenza e vulnerabilità. Spesso queste persone non sono in grado di tollerare una critica o un disaccordo o altre persone che dicono loro come agire. Quindi quello che riescono a fare è invertire la situazione, da vittima del mondo che lo fa sentire fragile ad abusante e potente per dimostrare in primis a sé di essere una persona di valore, superiore alle altre. Questo non vuol dire che dobbiamo stare dalla sua parte, ma è giusto tenerlo a mente per sapere che dall’altra parte non c’è un super eroe o una super eroina, ma una persona vulnerabile con un sacco di problemi e che farebbe bene ad andare in terapia. Ma questo non è un vostro problema, a meno che non siate la sua terapeuta.
La regola è un po’ sempre quella: chi sta bene con sé non ha bisogno di spingere giù le altre persone per sentirsi grande.
Vediamo quali sono le tecniche più diffuse per aumentare l’insicurezza nell’altra persona.
Come spesso accade anche le espressioni linguistiche possono essere graduali, passando così da espressioni che minimizzano e invalidano le emozioni, come per esempio: “Stai esagerando”, o “Sei troppo sensibile” a espressioni decisamente più forti e radicali. Fai sempre attenzione ogni volta che usano il verbo essere per descrivere te. Il verbo essere si posa sulla nostra identità e sul valore che ci diamo. Io, nella maggior parte dei casi, quando parlo di me sostituisco il verbo essere con altri verbi che mi danno più libertà. Non farti dire da altre persone chi sei, chieditelo tu: chi sono io? So che è una risposta molto difficile, soprattutto perché nessuno ci ha mai abituate o abituati a pensare in questi termini, ma sapere chi siamo, non per forza per sempre, ma anche solo nel momento presente, è una forte leva per rafforzare la nostra sicurezza personale.
Le accuse più diffuse sono quelle di essere pazze, di vedere cose che non esistono, di essere troppo sensibile, poco intelligente, di non ricordare, di essere infedeli, di non apprezzare dei comportamenti abusanti e protettivi. Ci sono poi persone abusanti che si rifanno anche a un repertorio di denigrazioni fisiche.
Alcune espressioni diffuse per colpevolizzare le vittime sono:
E molte altre ce ne sarebbero.
Noti qualcosa? Sono molto simili a quelle usate nella violenza maschile sulle donne. Ricordiamo però che in linea teorica l’abusante potrebbe essere anche una donna. Queste espressioni sono diffuse anche nelle dinamiche di famiglie disfunzionali e nello specifico nei rapporti genitori-figli e figlie.
Le dinamiche di potere e competizione rendono il gaslighting particolarmente pericoloso negli ambienti lavorativi. Questa manipolazione trova terreno fertile nel contesto professionale perché sposa bene le dinamiche performative e capitalistiche di cui la nostra società è pregna. Ad esempio, un capo o una capa può sfruttare la propria posizione gerarchica per legittimare il proprio comportamento, magari anche legando il divario di ruolo con un divario di valore personale. Una leva che spesso viene usata in queste dinamiche è la competizione con colleghi e colleghe o lo spauracchio del licenziamento. Attenzione però che se c’è una persona che si comporta in questo modo molto probabilmente l’ambiente nel quale vi trovate a lavorare è diffusamente tossico. Tollerare e non intervenire da parte dei vertici aziendali su comportamenti del genere significa essere complici.
Vediamo altri comportamenti tipici che si possono verificare in ambienti di questo tipo:
ridicolizzare la vittima in pubblico con commenti o battute.
Le vittime di gaslighting lavorativo possono sperimentare:
Se l’azienda non interviene o lo fa in un modo non congruo, valuta se rimanere in quell’ambiente sia sostenibile per te, sia a breve sia a lungo termine. Nel frattempo il mio consiglio è quello di iniziare a cercare nuove opportunità in un contesto più sano e rispettoso. E ricordati che quando troverai un ambiente dove non ti costringeranno a dubitare di te e a subire vessazioni, quella è la norma e non sei fortunata o fortunato e non devi sdebitarti perché non ti fanno subire abusi. Spesso vivere in un ambiente tossico distorce, sia in modo positivo sia in quello negativo, tutto il resto.
Nelle relazioni di coppia il gaslighting si collega in modo quasi diretto alla violenza domestica e sappiamo, anche dai quasi quotidiani fatti di cronaca nera, che questi abusi possono condurre a femminicidi.
Il linguaggio spesso fa riferimento alla negazione delle esperienza vissute dalla partner, come: “Non è così!”, “Ti stai inventando tutto!” e la più gettonata “Sei pazza”. Ma anche alla minimizzazione dei sentimenti:“Esageri sempre!” o “Stai facendo una tragedia per nulla.” E come abbiamo già visto alla falsificazione di eventi, alla disumanizzazione e allo screditamento della vittima portandola a dubitare della propria memoria e della propria identità. E qui oltre alla confusione costante e alla perdita di autostima si crolla spesso nella dipendenza emotiva dal partner, senza il quale non si saprebbe più chi essere dopo il percorso di disumanizzazione adoperato dal maltrattante.
In questo quadro si aggiungo poi gli stereotipi di genere e la cultura patriarcale, che fa si che gli uomini debbano proteggere le donne, che sono portati per avere potere e che ci si deve fidare di loro perché sanno quello che fanno, perché sono “uomini di mondo”. A questo si somma la narrazione tossica dell’amore romantico, di cui ho a lungo scritto nella mia ultima newsletter e che qui riprendo solo riportando alcune frasi che troppe volte abbiamo sentito dire: “Se ti ama, lo fa per il tuo bene” o “Ti critica perché tiene a te” e che mascherano dinamiche di abuso.
Sebbene il gaslighting non sia necessariamente accompagnato da violenza fisica, i due fenomeni sono spesso collegati:
Uno studio dell’American Psychological Association (APA) stima che il gaslighting sia presente nel 60% delle relazioni con abuso domestico, rendendolo una pratica centrale per mantenere il controllo sulla vittima. Si inserisce così nel ciclo della violenza domestica, seguendo spesso queste fasi:
Abbiamo già visto come il gaslighting si presenta in tre fasi distinte, ognuna con delle conseguenze psicologiche ed emotive differenti, che partono dall’incredulità fino ad arrivare alla depressione. Le vittime sono spesso pervase da insicurezza, perdita di fiducia in se stesse e nelle proprie capacità di giudizio. La sensazione di confusione, di errore continuo e di non essere in grado di far nulla sono stati d’animo che spesso si accompagnano a questo tipo di manipolazione. Come sostiene Stern, la vittima si convince che ciò che l’abusante dice riguardo se stessa sia la verità, gli dà ragione e lo idealizza. È nell’ultima fase che emergono sentimenti di rassegnazione, insicurezza e dipendenza.
L’impatto di questo abuso è grave anche a livello di salute fisica. Ricordiamoci infatti che mente e corpo sono collegati e per stare bene devono nutrirsi di benessere entrambi.
Chiedere aiuto è la prima cosa che bisogna fare anche solo se si ha il sospetto che qualcosa all’interno della coppia non fa stare bene. Chiedere aiuto e confidare a qualcuno o qualcuna come ci si sente e cosa succede con il proprio partner non è tradimento e non è una mancanza di rispetto, ma vuol dire rispettare se stesse.
Il mio consiglio è di chiedere aiuto a persone di cui ci si fida e a quelle che professionalmente possono aiutare: una psicologa, un centro anti-violenza o al 1522, servizio telefonico gratuito e attivo 24 ore su 24, in grado di accogliere le richieste di aiuto e di sostegno con operatrici specializzate, che non giudicheranno ma che saranno pronte ad aiutarti.
Altri consigli utili:
Le tue emozioni sono valide. Se ti senti a disagio, triste o svalutato in una relazione, quei sentimenti meritano ascolto. Fidati del tuo istinto e ricorda che il tuo benessere non deve mai essere messo in discussione da altre persone.
Il gaslighting non accade perché sei debole o sbagliata, ma perché qualcuno cerca di controllarti. È un comportamento che riflette le insicurezze e i bisogni di potere della persona che tenta la manipolazione. Parla molto più di lei che di te. In tutte le storie di violenza le vittime devono essere considerate tali e non concorrenti alla colpa. Oggi più che mai nella società che si sta delineando sempre più ignorante dei diritti e dei confini delle persone bisogna gridare a gran voce di chi è la responsabilità e di chi è la colpa, e restituire l’innocenza a chi ce l’ha.
Dubbi, confusione e insicurezze sono reazioni normali quando qualcuno cerca di manipolarci. Non sono segni di debolezza, ma il risultato di un abuso psicologico.
Combattere la violenza psicologica inizia da tutte e tutti noi: riconoscerla, parlarne e agire. Ogni passo verso una relazione più sana, una vittima salvata o una comunità più consapevole è un passo verso un futuro più libero dalla violenza.