Psicologa | Giornalista | Docente Università | Scrittrice

La newsletter che parla di parole, pensieri e cervelli narrativi

di Marta Pettolino Valfrè

Diventa la versione migliore di te, o forse no!

Se puoi sognarlo, puoi farlo

Quante volte hai sentito frasi tipo: diventa la versione migliore di te stessa o di te stesso e quante volte hai sperato di diventarlo davvero? Questa frase e buona parte di quelle motivazionali che puntano più sulla performance e sul miglioramento costante in chiave capitalistica, più che di accettazione e di crescita, implica che tu in questo momento non sei una versione che va bene, che devi cambiare e che tutti possiamo usare formule magiche per avere successo. Questa retorica che ci vede tutte e tutti uguali, vogliosi di avere gli stessi desideri e omologati a uno standard che ci vuole sempre felici e di successo ci porta una pressione sociale che ha un prezzo molto caro da pagare.

Queste frasi apparentemente sembrano positive, ma in realtà creano un confronto con standard altissimi e creano aspettative irrealistiche. Inoltre, ripeterle significa anche diffondere che non possiamo avere momenti di fragilità, di difficoltà e di disorientamento.
Chi lo decide davvero qual è la versione migliore di me? E perché devo per forza esserlo?

Perfezione, successo e felicità: un cocktail di potere

Le frasi motivazionali come “Diventa la versione migliore di te stesso” si fondano su un presupposto implicito: la tua versione attuale non va bene. Sei incompleto, inadeguato, perfettibile, questo crea un senso di mancanza cronica, un vuoto che, secondo queste affermazioni, può essere colmato solo migliorandoti. E ogni volta che raggiungi un obiettivo, ne emerge un altro, più alto, perché la “versione migliore” è un ideale irraggiungibile, sempre un passo oltre. È una gara contro un avversario invisibile che non puoi vincere. Si crea così un ciclo d’insoddisfazione personale.

Vediamo altre frasi che sentiamo spesso e che solo apparentemente servono a motivarci, ma che in realtà creano disagio e senso di inadeguatezza:

  • “Puoi essere tutto ciò che vuoi”
    Questa frase ha unsottinteso subdolo: se non ce la fai, è colpa tua. E ignora completamente i limiti reali e le disuguaglianze sociali. Qui si apre anche una parentesi importante sul concetto di merito, soprattutto perché nell’attuale governo abbiamo addirittura un Ministero del Merito. Il merito è un concetto che potrebbe essere giusto solo a livello teorico, ma nella pratica trascina con sé discriminazione e falsi miti. Potrà essere un concetto importante solo quando tutte le persone avranno uguali punti di partenza, fin quando partiremo da posizione diverse con i nostri privilegi e/o con le nostre penalizzazioni sociali il merito serve solo come abbaglio per tenere il potere in mano di pochi.
  • “Non mollare mai”
    A volte mollare è la scelta più sana e saggia. Non tutto merita il nostro impegno.
    Questa frase porta con sé anche uno stereotipo legato alla mascolinità tossica: solo un vero uomo non molla mai, invece considerare per cosa vale la pena di lottare e cosa vale la pena di lasciare andare sta alla base della vera crescita personale e della forza interiore. Non può essere trasformato tutto in prestigio sociale, in apparenza e in lotta. Si può mollare e lo si deve fare quando mollare è una scelta sana.
  • “Il successo dipende solo da te”
    Riduce la complessità della vita a un mantra individualista, ignorando fattori esterni come il contesto sociale e il proprio bagaglio emotivo e psicologico. E quindi se non ce la fai sei tu a fallire, a non valere abbastanza e a essere sbagliatə. Considerare come unica variabile noi, oltre a essere un concetto narcisistico ed egoico, è un concetto che non potrà mai essere vero. Abbiamo un buon potenziale per dirigere la nostra vita e per indirizzarla dove vogliamo, si chiama agentività, ed è quello che ci serve anche per superare le difficoltà e per cambiare strada quando quella che stiamo percorrendo non va più bene. Pensare però che tutto dipende da noi può portare a un senso di inadeguatezza e di fallimento. Tenere a mente che al mondo esistono anche altre persone e che gli eventi non dipendono solo da noi è un buon punto di partenza anche per avere successo, qualsiasi sia il significato che tu (e solo tu) vuoi dare a questa parola.
  • “Se vuoi, puoi”
    Il classico esempio di pressione mascherata da ispirazione. Non considera che alcune cose sono semplicemente irraggiungibili e non considera il punto dal quale partiamo. Non è vero che tutte le persone hanno gli stessi diritti e le stesse possibilità, la nostra società è fondata sul privilegio e se non siamo dalla parte delle persone che lo hanno la strada per il raggiungimento dell’obiettivo si fa in salita e a volta diventa proprio impossibile. Insomma non considera la maggior parte delle variabili concentrandosi su una sola: la nostra volontà. E quindi se non ce la fai, sei di nuovo tu a essere sbagliato. Con questo non voglio dire che non possiamo avere obiettivi o ambizioni, anzi averli ci serve per vivere meglio, ma dobbiamo tenere presente anche le variabili che non sono sotto il nostro controllo. E soprattutto dobbiamo tenere presente che la nostra identità e il nostro valore non devono coincidere con gli obiettivi raggiunti.
  • “Pensa positivo e tutto andrà bene”
    L’essenza della positività tossica: minimizza problemi reali e invita a reprimere emozioni negative. Come dico spesso, e scrivo ancora di più: le emozioni sono delle messaggere e dobbiamo ascoltare cosa hanno da dirci, altrimenti si faranno ascoltare urlano a modo loro.
  • “Chi vuole, trova un modo; chi non vuole, trova una scusa”
    Questa frase colpevolizza chiunque abbia difficoltà o necessiti di una pausa o di un aiuto. Di nuovo è tutto basato sulla volontà come se fosse quella che decide le sorti di tutto l’intero mondo, solo la mia volontà, mai quella delle altre persone. E se io e un’altra persona vogliamo lo stesso posto di lavoro, la stessa casa, o lo stesso biglietto della lotteria? Qual è la volontà che vince? Chi lo vuole di più o chi ha più potere per ottenerlo?
  • “Lavora sodo ora, riposa quando sei morto”
    Promuove una cultura del lavoro tossica e non sostenibile. Emblema della società della performance di cui siamo tutti e tutte vittime e anche un po’ carnefici.
  • “Non esistono problemi, solo opportunità”
    Fingere che non esistano i problemi o che questi vadano trasformati per forza in opportunità significa nascondere il dolore e le difficoltà. Un atteggiamento di questo tipo è davvero pericoloso, perché il dolore nella vita non è solo inevitabile, ma anche necessario e nascondere la sua esistenza farà sì che quel dolore diventi sempre più grande e non venga mai elaborato.
  • “La felicità è una scelta”
    Implica che chi non è felice sia in qualche modo “difettoso” o pigro e soprattutto indica chi è colpevole della propria infelicità.
La versione migliore di te

La mia versione migliore si compra

Il concetto di “miglioramento personale” è spesso intrecciato con il consumismo. Essere “migliori” sembra sempre richiedere di acquistare qualcosa.
Il mercato della crescita personale è gigantesco: libri, app, corsi, seminari, e persino tazze con frasi motivazionali. Le aziende sfruttano le insicurezze personali, amplificate da queste frasi, per vendere soluzioni. Il problema è che la soluzione è per tutti uguale e la maggior parte delle volte è solo teoria, che potrebbe anche motivarci nel breve termine ma che nulla può su un cambiamento profondo e che si mantenga nel tempo, creando così un senso di impotenza o di inadeguatezza.

Il consumismo ti fa credere che puoi comprare la soluzione ai tuoi problemi, ma spesso questi acquisti alimentano ulteriori insicurezze.

Molte frasi motivazionali che oggi troviamo sulle magliette o nelle caption di Instagram derivano da antiche filosofie orientali, come il buddhismo, il taoismo e l’induismo. Questi insegnamenti originari avevano una profondità spirituale e filosofica, radicata in pratiche come la meditazione, la consapevolezza e l’accettazione dell’impermanenza.

Ad esempio:

  • “Vivi il momento presente” deriva dal concetto buddista di mindfulness (Sati), che invita a osservare il momento senza giudizio.
  • “Il viaggio è più importante della meta” è legato al taoismo e al concetto del “wu wei”, l’agire senza forzature, fluendo con il naturale corso degli eventi, ossia maturare la consapevolezza di quando agire e quando no.

La banalizzazione nel mercato occidentale

Quando queste idee sono state importate in Occidente spesso sono state spogliate del loro contesto culturale e trasformate in slogan facili da digerire.
Ad esempio: “Vivi il momento presente” si trasforma in una giustificazione per ignorare i problemi reali o rinviare decisioni importanti.

Il buddismo, che predica la semplicità e il distacco, viene reinterpretato per giustificare l’acquisto di prodotti “zen” come candele profumate e tappetini da yoga alla moda.
La frase come “Diventa la versione migliore di te” si avvicina molto al concetto di “realizzazione del sé” di Abraham Maslow, uno degli psicologi più influenti nella teoria della motivazione umana. Nella sua piramide dei bisogni, Maslow descrive i bisogni da soddisfare prima di poter raggiungere la propria autorealizzazione. Il concetto è anche radicato nella psicologia umanista, che promuove l’idea che ogni individuo ha la capacità di crescere, evolversi e sviluppare pienamente se stesso. Tante correnti psicologiche sostengono che al nostro interno abbiamo tutte le risorse per guarire le nostre ferite e per stare bene, ma questo non indica che dobbiamo perseguire un miglioramento sulla performance e quindi sul fare, ma una consapevolezza sull’essere.

Il buddismo e il taoismo, per esempio, pongono l’accento sul raggiungimento di uno stato di equilibrio interiore, ma senza forzare un ideale di perfezione, come invece implicano la maggior parte di queste frasi occidentalizzate.

La diffusione delle frasi motivazionali è fortemente legata alla cultura del self-help e al business del miglioramento personale che è esploso negli Stati Uniti alla fine del 20° secolo. L’industria del coaching motivazionale e dei libri di crescita personale ha contribuito a popolarizzare questi concetti performativi.

Nel mondo del marketing, la frase “Diventa la versione migliore di te” è stata facilmente adattata per vendere corsi di sviluppo personale, abbonamenti a palestre e persino in filosofie aziendali. Così la versione migliore di noi è diventata un concetto che non solo spinge l’individuo verso il miglioramento, ma lo invita anche a consumare prodotti che promettono di aiutarlo a raggiungere tale obiettivo.

Queste frasi sono state trasformate in strumenti di marketing per perpetuare insicurezze e incentivare consumi spesso inutili, diventando strumenti per immortalare il culto del “self-improvement” occidentale, invece di essere usate come strumenti per l’accettazione e per la compassione interiore.

La frase stessa, “Diventa la versione migliore di te stesso” è un mix di filosofie psicologiche, motivazionali e orientali che si sono evolute per diventare uno slogan facilmente comprensibile e vendibile. Sebbene l’intenzione possa essere positiva, il modo in cui è stata utilizzata spesso ignora il concetto di auto-accettazione e favorisce un’idea di perfezione che è, in realtà, irraggiungibile.

Come smontare la banalizzazione e il marketing della versione migliore di te

Come smontare la banalizzazione

Cosa fare allora per motivarci senza “venderci”? Smettiamo di chiederci cosa ci manca e iniziamo a chiederci cosa possiamo apprezzare di noi, invece che i nostri vuoti guardiamo i nostri pieni. Per i vuoti facciamoci aiutare da chi per professione si occupa di questo, se senti di averne bisogno chiedi aiuto a una psicologa o uno psicologo (se vuoi i miei contatti li trovi in fondo a questa email).
Pratica un approccio più sostenibile e compassionevole: lavora su di te non per raggiungere standard imposti, ma come un’espressione di amore per ciò che si è già.

Potresti, per esempio, invece di pensare a come “essere migliore”, concentrarti sull’essere presente nelle situazioni e con le persone che vivi e comunicare in modo autentico le tue emozioni e i tuoi pensieri.

Invece di cercare di essere la nostra versione migliore potremmo iniziare a chiederci: Chi sono? e Cosa posso fare per accogliermi?. Piuttosto che pensare che il miglioramento passi attraverso acquisti o obiettivi irrealistici, possiamo imparare a vivere in modo più consapevole, accettando anche quelle parti di noi che non ci piacciono, ma che se ci sono un ruolo lo hanno pure loro nella nostra vita. Accogliamole e ringraziamole per esserci state, e se davvero le vogliamo lasciare andare dobbiamo prima donare loro gratitudine per aver svolto il proprio ruolo.

Riscoprire il vero significato di queste frasi e viverle in modo profondo e autentico potrebbe non solo liberare dalle insicurezze imposte dalla società, ma anche restituire un valore che va oltre il consumismo, rendendo il nostro benessere davvero nostro.

Un giro di lingua

La parola che ho scelto e che a mio avviso oggi come ieri ha un significato imprenscindibile è Resistenza. Vedo davvero troppe cose che non portano verso un benessere fisico ed emotivo delle persone e della società. Vedo che i diritti fondamentali si allontanano sempre di più da chi non li ha mai avuti, ma pure da chi pensava di averli acquisiti. E non penso solo ai diritti delle donne (a cui va comunque sempre il mio primo pensiero) ma anche a quelli delle persone che lavorano, a chi non riesce a entrare o ri-entrare nel mondo del lavoro, a chi vorrebbe diventare genitore e a chi non lo vuole essere. Penso a tutte quelle libertà che diventano privilegio e penso soprattutto a chi non ce l’ha quel privilegio.

 

In Italia come altrove la Resistenza fu anzitutto un movimento di liberazione dall’invasore nazista.

Nel linguaggio sociologico il diritto di resistenza è il diritto di opporsi, anche con la violenza, a ogni attentato o minaccia recati ai diritti fondamentali e inviolabili dell’uomo da parte del potere costituito: ammesso dalle dottrine politiche dei sec. 17° e 18°, non è stato recepito nelle costituzioni delle democrazie ottocentesche e contemporanee, e quindi neppure nella Costituzione della Repubblica Italiana (nel cui progetto iniziale era tuttavia previsto). [Enciclopedia Treccani].

Oggi, in un mondo che sembra scivolare sempre più verso l’estrema destra, con leader politici che arrivano a sostenere che Hitler fosse comunista e con un’influenza crescente di lobby guidate da figure che accumulano ricchezze paragonabili ai PIL di interi Stati, come Elon Musk – la cui salute mentale andrebbe attenzionata – c’è una parola che dobbiamo tenere a mente: Resistenza. Non è vero che tutto è già scritto, né che non possiamo lottare perché “sono troppo forti”. Dobbiamo riprenderci i nostri diritti e continuare a combattere anche per chi non li ha mai avuti.

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Ho scritto un libro

IL CORPO EMOTIVO NEL PUBLIC SPEAKING

Manuale pratico tra mente, cuore e storytelling

Il public speaking per me è molto di più del parlare in pubblico, perché ci fa fare i conti con noi, con le nostre paure, ma anche con i nostri sogni e le nostre speranze. È un guardarsi dentro prima che fuori, è un parlare con noi stess* prima che con le altre persone. È anche guardare in faccia cose che non ci piacciono, ed è anche imparare a conoscersi meglio e a dirsi: sono stata brava!

Dentro questo libro troverai una parte dedicata alle emozioni e a come tenerle per mano senza farti governare. C’è anche uno Speciale Ansia! Una parte è dedicata al linguaggio e a come si formano i pensieri nella nostra mente. Un’altra, a grande richiesta, è sulla comunicazione non verbale e in ultimo ci sono le mie tecniche preferite di storytelling. E tanti e tanti esercizi.

 

“È un libro che mette ordine tra falsi miti e prove scientifiche, adatto per organizzare discorsi sia preparati, sia improvvisati. Per chi vuole essere leader e muovere opinioni, per chi ha un sogno e vuole raggiungerlo, per chi vuole parlare con mille altre persone o una sola”.

Ne ho scritto un altro:

CHE PALLE ‘STI STEREOTIPI

25 modi di dire che ci hanno incasinato la vita

Le parole che usiamo non servono solo a descrivere la realtà ma influenzano inconsapevolmente anche i nostri pensieri e determinano quindi i nostri comportamenti. Occuparsi delle parole vuol dire soprattutto prendersi cura di sé e della propria mente. E non esistono cose più urgenti di dedicarci a noi e al rapporto con le altre persone. Questo viaggio ironico e al contempo molto serio ci porta, attraverso venticinque modi di dire che spesso usiamo inconsapevolmente, all’interno å una società ancora troppo maschilista, nella quale le donne troppo spesso mettono in atto comportamenti auto-sabotanti. Sono parole “di seconda mano”, che utilizziamo senza compiere una vera e consapevole scelta, sono parole non nostre ma che, nel momento in cui le pronunciamo, dicono tanto anche di noi, di chi siamo, di cosa (senza rifletterci) pensiamo e di come ci comportiamo. Grazie alle riflessioni di Nacci e Pettolino Valfrè, impariamo a riscrivere la nostra voce interiore, a disinnescare i nostri automatismi in modo che, quando staremo per esclamare a una donna: “Hai proprio le palle!”, ci verrà da ridere ripensando a cosa vuol dire, a quanto sia assurdo, e ci porterà a domandarci: “Sono veramente io che sto scegliendo questi termini?”, “Chi è la padrona o il padrone della mia mente?” e ancora: “Posso amare le parole che ho detto?”.

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